Affinità elettive
24 marzo - 23 giugno 2024

Le Gallerie dell’Accademia e il Museum Berggruen annunciano la mostra Affinità elettive.

Picasso, Matisse, Klee e Giacometti. Opere dal Museum Berggruen – Neue Nationalgalerie in dialogo con i capolavori delle Gallerie dell’Accademia, dal 24 marzo al 23 giugno 2024, per la prima volta in Italia, le opere saranno esposte alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e alla Casa dei Tre Oci, la nuova sede del Berggruen Institute Europe.

Sarà possibile ammirare una selezione di quadri e disegni del Museo Berggruen di Berlino: più di 40 straordinarie opere di PicassoMatisseKleeGiacometti e Cézanne dialogheranno con GiorgioneSebastiano RicciPietro LonghiGiambattista Tiepolo e Canova, i capolavori delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

L’esposizione è a cura di Giulio Maniera Elia e Michele Tavola, direttore e curatore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e Gabriel Montua e Veronika Rudorfer, direttore e curatrice del Museum Berggruen di Berlino, uno dei più importanti istituti statali europei di arte moderna, che prende il nome dal collezionista tedesco Heinz Berggruen (1914-2007).

Non è un caso se il titolo scelto per la mostra è Affinità elettive a evocare e sottolineare il potenziale che scaturisce dall’incontro di queste due importanti collezioni. Il titolo è ispirato al famoso romanzo di Johann Wolfgang Goethe, scrittore che trascorse alcuni mesi a Venezia durante il suo viaggio dalla Germania in Italia.

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Come sarà il Padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia 2024. Parla il curatore Luca Cerizza
Racconti da MArte
Mancano ormai poche settimane all’avvio di Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere, la 60.
Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, a cura di Adriano Pedrosa, in programma dal 20 aprile al 24 novembre 2024. A occupare gli spazi del Padiglione Italia alle Tese delle Vergini, nel contesto dell’Arsenale, è l’installazione sonora e ambientale di Massimo Bartolini, cuore del progetto Due qui / To Hear. Un lavoro basato sull’ascolto e sulla collaborazione, come racconta in questa intervista il curatore Luca Cerizza.

A partire dal titolo, l’elemento sonoro gioca un ruolo centrale nel progetto espositivo ideato per il Padiglione Italia. Quali temi mette in luce, attraverso il suono, il lavoro di Massimo Bartolini e come dialoga con i concetti alla base della mostra internazionale a cura di Adriano Pedrosa?
Con questa traduzione solo apparentemente sbagliata, il titolo suggerisce il carattere relazionale dell’ascolto, del suono. Ci si incontra per ascoltare e ascoltarsi, per dirla con una formula sintetica. D’altronde una caratteristica del lavoro di Bartolini, da sempre, è la delineazione di spazi esperienziali dove spesso il suono e la musica hanno un ruolo cruciale. Dove si parla dell’ascolto della differenza e della complessità, del rapporto tra individuo e molteplicità. Per esempio. Ma il progetto riprende e precisa tanti tempi che i nostri rispettivi percorsi hanno già toccato. Forse sarà tutto più chiaro dal vivo… con le orecchie (alle) tese…

Quali relazioni si instaurano tra l’opera di Bartolini e l’architettura del padiglione?
Di ascolto, anche qui. Il progetto vuole usare gli spazi nelle loro possibilità intrinseche, senza aggiungere nessuna forma di display, anzi riducendo, dove possibile, ogni superfetazione. Non tentare di rendere questi spazi un museo ma occuparli per quello che possono dare insieme alle opere. Ovviamente questa scelta è in linea con i nostri rispettivi percorsi professionali e il modo in cui abbiamo spesse volte pensato le mostre. D’altro canto è una scelta che ha anche un carattere di sostenibilità economica e ambientale.

L’intervento di Bartolini è il risultato di ciò che lui stesso definisce “jam session”: a collaborare alla riuscita del progetto sono musicisti e scrittori italiani e internazionali.
Sì, questo progetto è forse l’espressione più complessa e ambiziosa di una modalità di lavoro che Massimo segue dai suoi esordi, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Non solo ispirarsi a elementi narrativi e linguistici di altri artisti (nel senso più lato del termine) e di farne materia delle sue opere, ma anche di coinvolgere direttamente nella realizzazione del suo lavoro altre figure: musicisti, scienziati, scrittori, ma ovviamente anche artigiani con competenze specifiche. Si può dire che il suo approccio abbia un carattere “curatoriale”, che include altre voci, se ne prende cura, costruendovi delle relazioni. In questo senso, c’è uno scambio continuo tra noi due nella delineazione e realizzazione del progetto, fino a rendere più sottili i confini tra i nostri ruoli.

Ci racconta qualcosa in più?
In questo, come in molti casi nei quali abbiamo collaborato, l’inclusione è soprattutto legata al suono e alla musica. Dopo la stupenda esperienza del Pecci di Prato nel 2022 e la collaborazione con Gavin Bryars (uno dei padri del minimalismo e della musica di avanguardia dalla fine degli anni Sessanta), Gavin ha composto un nuovo pezzo insieme a suo figlio Yuri, su invito di Massimo.
Per l’opera principale della mostra, invece, abbiamo invitato Caterina Barbieri e Kali Malone a comporre un brano per l’occasione. Sono due musiciste molto giovani ma già importanti e rispettate nella scena elettronica e d’avanguardia, pur avendo una formazione classica. Conoscendo anche la loro amicizia abbiamo chiesto loro di comporre un pezzo in collaborazione, in cui sembrano completarsi l’un l’altra. Un piccolo sogno che è diventato realtà.

Come avete immaginato l’interazione degli spettatori con il progetto Due qui / To Hear?
Quella di suggerire loro degli spazi di percorrenza e sosta, dove poter ascoltare diverse suggestioni sonore ma, forse, soprattutto se stessi.

Intervista a cura di Arianna Testino

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